
“Non possiamo essere compassionevoli con gli altri se non lo siamo prima con noi stessi.”
— Brené Brown
Ti è mai capitato di commettere un errore e sentire quella vocina interiore che parte all’attacco: “Ma come puoi essere così stupido/a? Possibile che sbagli sempre?”
Oppure, in una versione più sottile ma non meno pungente: “Tanto non ce la farai mai…”
Ecco il meraviglioso, si fa per dire, mondo dell’autocritica distruttiva. Una modalità di dialogo interno che decisamente nuoce alla salute mentale e che con frequenza è confuso con la forma di autocritica sana e funzionale.
Bisogno fare attenzione, c’è una sottile, ma fondamentale, differenza tra un dialogo interiore che ci affossa e uno che ci sostiene e infatti non tutta l’autocritica viene per nuocere, ma come riconoscerle?
Autocritica distruttiva: il giudice interiore che non fa sconti
L’autocritica distruttiva è quel meccanismo mentale che ci fa sentire costantemente inadeguati, insufficienti, in difetto. È una voce severa, esigente, rigida. Non ammette errori, non contempla sfumature, e spesso ci fa sentire sbagliati, non solo per ciò che facciamo, ma per ciò che siamo.
Esempi tipici di pensieri distruttivi:
- “Non valgo abbastanza.”
- “Non combino mai nulla di buono.”
- “Gli altri sono migliori di me.”
- “Sono sempre il solito”
Questa modalità nasce spesso da esperienze precoci in cui l’amore o l’approvazione erano condizionati alla performance. Crescendo, interiorizziamo la voce di quel genitore, insegnante o figura significativa, e iniziamo a trattarci con lo stesso metro inflessibile.
Il problema? Questo tipo di autocritica non aiuta a migliorare. Al contrario, alimenta
- Ansia e stress
- Bassa autostima
- Perfezionismo paralizzante
- Senso di colpa cronico
- Demotivazione
- Sfiducia
Autocritica sana: il feedback costruttivo dell’alleato interiore
Esiste però un’altra possibilità. Un modo diverso di parlarci, che riconosce gli errori senza identificarsi con essi. Che ci sprona a migliorare, ma con gentilezza. È quella forma di autocritica che potremmo chiamare autovalutazione consapevole o riflessione funzionale.
Questa voce non ci umilia, ma ci guida. Non ci blocca, ma ci aiuta a crescere. Ha l’obiettivo di apprendere, non di punire.
- “Ho sbagliato, ma posso capire perché è successo e cosa fare di diverso la prossima volta.”
- “Non è andata come speravo, ma non significa che io sia un fallimento.”
- “Posso imparare anche da questo momento difficile.”
- “Vado bene anche se commetto degli sbagli, perchè questi fanno parte della vita”
Questa autocritica è motivante, perché basata su realismo, compassione e responsabilità.
Come distinguere le due? Un piccolo trucco pratico
Chiediti: “Parlerei così a una persona cara che stimo?”
Se la risposta è no, probabilmente ti stai parlando in modo distruttivo. Prova allora a riformulare il pensiero come se parlassi a un’amico/a a cui vuoi bene e che vuoi aiutare e sostenere a migliorarsi. Sorprendentemente, funziona.
Dalla critica alla cura: coltivare l’autocompassione
Imparare a riconoscere e trasformare il proprio dialogo interno richiede tempo, consapevolezza e, spesso, un po’ di allenamento. La pratica della Mindfulness e il lavoro sull’autocompassione, ad esempio, ci aiutano a notare i nostri pensieri senza identificarci con essi, e a rispondere con gentilezza anziché reattività.
Perché, come dice Paul Gilbert, fondatore della Compassion Focused Therapy “Essere duri con se stessi non è ciò che ci rende forti. È la compassione che lo fa.”
In sintesi l’autocritica distruttiva:
- Ti svaluta
- Ti blocca
- Ti genera vergogna
- Ha una struttura rigida e inflessibile
- Nasce come risposta automatica alla paura
Autocritica sana invece:
- Ti incoraggia, ti sostiene e supporta
- Ti motiva, ti invoglia a far meglio
- Ti genera energia e voglia di apprendimento e miglioramento
- Ha una struttura flessibile, si adatta al contesto e alle circostanze
- Nasce dalla cura e dal prendersi cura con affetto e gentilezza
Se ti ritrovi spesso nella trappola dell’autocritica distruttiva, ricorda che puoi imparare a cambiare tono. Non per diventare “perfetta/o”, ma per diventare più intera/o.
“Parla a te stessa come faresti con qualcuno che ami.”
— Kristin Neff